Meglio la farmacia “latina” o quella nord-europea? Finché il confronto si limitava a titolarità e programmazione delle sedi, i farmacisti italiani non hanno mai avuto dubbi. Ora che invece si cominciano a conoscere un po’meglio i tratti distintivi dei due modelli, si fa largo l’idea che qualcosa – dai Paesi del nord – si può anche importare. Lo pensa anche l’università italiana, cui si deve il convegno organizzato ieri a Napoli dalla facoltà di Farmacia della Federico II sul ruolo del farmacista nei paesi dell’Unione europea: quattro le esperienze messe a confronto – Regno Unito, Olanda, Germania e Spagna, grazie alle relazioni di altrettanti ospiti – per trarre riflessioni e indicazioni adattabili alla realtà italiana.
Sono così riecheggiate parole d’ordine già ascoltate al convegno sulla pharmaceutical care organizzato a Cosmofarma da Federfarma e Fofi: nel nord-Europa il ruolo del farmacista non si ferma alla dispensazione ma si allarga alla presa in carico del cronico, alla prescrizione in caso di ricetta ripetuta, al monitoraggio delle terapie. Peculiarità che, ad ascoltare quanto riportato dai relatori internazionali, trovano il loro corrispettivo in un sistema accademico che pratica l’accesso programmato (numero chiuso), e una selezione all’ingresso diretta a misurare le motivazioni degli studenti.
«Stiamo lavorando nella stessa direzione» spiega a Filodiretto Ettore Novellino, presidente della conferenza dei presidi delle facoltà di farmacia e organizzatore del convegno «riteniamo necessario adottare il numero programmato e rivedere i percorsi di laurea per dare contenuti culturali che preparino i farmacisti di domani a un ruolo analogo a quello dei loro colleghi europei: farmacia clinica, pharmaceutical care e così via. I tempi? Per ottobre dovremmo avere pronto un piano di studi condiviso, che poi ogni università integrerà in base alle proprie specificità». (AS)