C’è chi l’ha definita una bomba a orologeria. Con il timer puntato al 25 novembre, data dalla quale torneranno in vigore le norme comunitarie in materia di orari e riposi di lavoro di medici e infermieri. Per il Ssn, ciò significa che in ospedali e strutture pubbliche sui dovrà tornare per tutti alla settimana lavorativa di massimo 48 ore e al riposo biologico minimo di 11 ore tra un turno e l’altro. In entrambi i casi, le disposizioni europee da cui discendevano tali tetti erano state derogate (dalla legge 133/2008 e dalla 66/2003) per evitare al Servizio sanitario nuove assunzioni e quindi incrementi insostenibili della spesa per il personale. I due provvedimenti, emanati per salvare i direttori generali delle Asl da pesanti sanzioni, avevano innescato una doppia diffida dall’Unione europea, alla quale il nostro Paese aveva risposto un anno fa con la legge 161/2014, che stabiliva il ripristino di turni massimi e riposo minimo dal 25 di questo mese.
Come spessissimo accade in Italia, in un anno non si è fatto praticamente nulla. Risultato, la scadenza è dietro l’angolo e si è già in clima di emergenza. Anche perché è battaglia sulle soluzioni con cui disinnescare la bomba. I sindacati della dirigenza medica, per esempio, pretendono che il Ssn prenda atto della normativa e risolva le carenze di organico con assunzioni e stabilizzazioni del personale medico precario. Le Regioni, invece, dopo molti tentennamenti sembrano essersi rassegnate all’idea che il problema si può risolvere soltanto nella cornice del rinnovo contrattuale (come peraltro suggeriva la stessa 161/2014). Risultato, ieri l’Aran (l’equivalente della Sisac per la dipendenza del Ssn) ha convocato i sindacati per martedì prossimo, con l’obiettivo di concludere un accordo da inserire poi nel contratto di settore. Ci vorrà tempo, però, ed ecco perché ieri dalle Regioni è anche arrivata la richiesta di una proroga della scadenza del 25 novembre: un paio di mesi appena, per non far infuriare l’Europa e dare tempo all’Aran di trattare con i sindacati.
L’orientamento dei governi regionali, in ogni caso, è quello di rendere più elastici i paletti della normativa europea: per esempio, ammettere riposi inferiori alle 11 ore in caso di eventi eccezionali o non prevedibili ed escludere dal computo dell’orario la formazione continua e l’attività liberoprofessionale (intramoenia). Anche perché secondo alcune stime, se si imboccasse la strada auspicata dai sindacati si renderebbe necessario assumere 4-5mila persone tra medici e infermieri. Un salasso, in termini di spesa.
Ma c’è anche un’altra spada di damocle a pendere sulla testa delle Regioni: secondo Consulcesi, azienda di consulenze legali in campo medico, qualche migliaio di medici sarebbe pronto ad avviare una class action per ottenere il pagamento delle ore lavorate e non retribuite dal Ssn dal 2003 a oggi; come scriveva qualche giorno fa il Corriere della Sera, l’azione legale potrebbe costare a Regioni e Servizio sanitario più di 3 milioni di euro. E come noto, al momento non è che il Ssn nuoti nell’oro. (AS)